venerdì 28 agosto 2009

Meraviglie degli istituti all'estero, La Boralevi un addetto culturale?

di Stefano Ciavatta

Istituti di Cultura. Sbaglia il “Corriere”. Il direttore di Rolling Stone fu chiamato per L.A. col precedente governo Berlusconi. Troppa burocrazia: «4 anni per aprire un bar». Nessun veto da sinistra. Con due anni si lavora male. «Meglio quattro, con una manager come la Rummo».

Il Riformista, 28 agosto 2008
«Certo che rinunciai ma si tratta di un evento di sei anni fa! Parliamo addirittura del precedente governo Berlusconi. Al giornalista del Corriere bastava verificare su google...» racconta Carlo Antonelli, direttore del mensile Rolling Stones chiamato in causa in un articolo sulle nuove nomine negli Istituti Culturali italiani sparsi all'estero. «Venivo dalla Sugar e tramite un'amica mi chiesero il curriculum per la direzione dell'Istituto di Cultura di Los Angeles. Mi ero stufato di fare il discografico, ero da pochi mesi direttore di Rs, ma nessuno mi contattò direttamente. Ero un vero outsider, ci misi molti mesi a decidere, il rimborso era molto alto, 14mila euro, ma determinanti per la rinuncia furono motivi personali e familiari».

Cosa voleva dire fare il direttore dell'Istituto di Cultura a L.A.? «Andando lì mi resi conto della potenzialità inespressa, l’Istituto è in una zona fantastica ma è dotato di un budget limitato, con un mandato di soli due anni era difficile lavorare. A 38 anni forse era più un cul de sac». Si parla di una sua militanza a sinistra e di un divieto che la costrinse a rinunciare. «Di certo non avevo nessun piacere a essere un rappresentante di quel governo ma non ho neanche mai avuto contatti da militante con il mondo della sinistra. È comunque incredibile la persistenza di questa micronotizia, anni fa Repubblica ci costruì un teorema: Sugar, Caselli, Craxi, Berlusconi fino a me...un complesso gioco di pedine, ma è una follia dietrologica».

Chi andò poi a Los Angeles? «La valida signora Valenti, un funzionario. La chiara fama fu derubricata allora, non so oggi. Il fatto è che un lavoro di due anni, essendo la nomina legata alle sorti del governo, rischia sempre di essere un compito proibitivo. Ok se si tratta di un parcheggio di lusso, ma se ci vuole investire veramente il discorso cambia. Valenti ha fatto bene perchè conosce i gangli della burocrazia. Io ero l’outsider costretto a un corso accelerato di burocrazia complessa. Solo per aprire un bar ci volevano 4 anni». Ma per un direttore di Rs non era il massimo lavorare a L.A.? «Professionalmente mi sembrava di affrontare un terreno fumoso e complicato, con una burocrazia lenta e un ministero che parlava una lingua incomprensibile, e poi un eccessivo collegamento dell'Istituto con l’incredibile comunità italiana, un pubblico senescente che voleva gli sbandieratori di Pisa e la festa della pizza».

Per la sede di Parigi si parla della riconferma della manager Rummo ma anche dell'affiancamento di Antonellla Boralevi, scrittrice e conduttrice tv. «È un caso, forse un merito l’articolo ce l’ha. Quello di far capire le logiche che intercettai all’epoca. La Rummo è una manager culturale di ottimo livello, ma si trova a doversi scontrare con la cattiva concezione delle nomine di chiara fama, che dovrebbero essere come minimo quadriennali. Una logica che lascia a desiderare sulla effettiva volontà di investire e rendere produttivi questi istituti. Sono luoghi altamente burocratizzati dove un solo manager può battersi davvero, e il problema resta a monte, indipendentemente dalle vecchie logiche politiche di spartizione».

Da Parigi la direttrice Rosanna Rummo afferma che «quattro anni sarebbero un tempo giusto per lasciare un segno. I primi 6 sei mesi se ne vanno solo per organizzare i contatti. I budget sono molto limitati ma è tutto strettamente proporzionale a quanto la cultura viene sostenuta e finanziata in Italia. Non tutti gli istituti poi hanno lo stesso budget, ma tutti hanno vincoli burocratici enormi, amministrativi e giuridici. Non è una vacanza. Per esempio non riusciamo a fare pubblicità, molte spese per gli ospiti sono a carico nostro. Dobbiamo cercare contributi e sponsor in loco». Quindi largo ai manager? «Sanno muoversi con più facilità. Alle Scuderie del Quirinale ero come un Ad. Oggi devo lavorare in condizioni differenti. Sono situazioni complesse, molto più vincolanti per certi aspetti. L'Istituto di Villa Medici a Roma ha il triplo del nostro budget. La realtà francese in Italia è diversa. Sono anni che la cultura subisce la scure della riduzione dei finanziamenti».

Nessuna sovrapposizione con la Boralevi? Per il Corriere si parla di un dirottamento temporaneo all'Ambasciata per evitare contrasti. «Credo che verrà come esperto. Le norme delle ambasciate lo consentono». Intanto il Ministero degli Affari Esteri fa sapere che la voce sulla Boralevi non è priva di fondamento: «presto le ambasciate vedranno potenziale le figure degli addetti culturali», assicura una fonte, «nominati dalla stessa commissione che si occupa degli Istituti di Cultura, con un profilo orientato alla versatilità sui media, alla capacità di trovare sponsor e alla abilità nel gestire pubbliche relazioni».

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