mercoledì 24 settembre 2008

Claudia Cardinale ospite d’onore ad Oslo

L'attrice italiana sarà nella capitale norvegese il prossimo 1 ottobre, nell'ambito della rassegna cinematografica su Luchino Visconti organizzata dal locale IIC e dall'Ambasciata d'Italia

Italplanet.it, 23 settembre 2008
Molto atteso dal pubblico di Oslo l'arrivo dell'attrice Claudia Cardinale che sarà ospite d'onore alla proiezione del film "Il Gattopardo" previsto per mercoledì 1 ottobre presso la prestigiosa sala della Cineteca Nazionale di Oslo.

L'evento si inserisce nel fitto calendario della rassegna cinematografica su "Luchino Visconti" organizzata dall'Istituto Italiano di Cultura e dall'Ambasciata d'Italia ad Oslo, in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri, Cinecittà Holding e Norwegian Film Institut di Oslo. Oltre al "Gattopardo" il calendario prevede nei suoi ben due mesi di rassegna (dal 3 settembre al 31 ottobre 2008) la proiezione di grandi capolavori del regista, considerati pietre miliari della storia del cinema, non solo italiano ma internazionale.

La presenza di Claudia Cardinale vuole quindi incoronare questa importante iniziativa, che nasce per dare testimonianza al pubblico norvegese dell'intramontabile fascino che ha sempre contraddistinto il maestro del Neorealismo italiano già, tra l'altro, conosciuto ed amato nel mondo scandinavo. L'omaggio che Claudia Cardinale ha voluto così concedere alla capitale norvegese sarà accolto con grande entusiasmo dal pubblico locale che, numeroso, attende con grande gioia di poter conoscere più da vicino una delle grandi protagoniste del cinema italiano che concederà in apertura di serata un'intervista condotta dal noto traduttore ed esperto di cinema italiano, Jon Rognlien.

domenica 14 settembre 2008

"TRA COSMÈ TURA E FRANCESCO DEL COSSA": A COPENAGHEN FERRARA ALL'EPOCA DI BORSO D'ESTE" IN UNA CONFERENZA DELLA DANTE

COPENAGHEN\ aise\ 12 settembre 2008 - Settembre è un mese ricco di attività per la Dante Alighieri di Copenaghen, che, in collaborazione con l'Istituto Italiano di Cultura danese, ha organizzato la conferenza "Tra Cosmè Tura e Francesco del Cossa. L’arte al tempo di Borso d’Este".
L’evento, che si terrà martedì prossimo, 16 settembre, a partire dalle ore 19.00, presso l’Auditorium dell’Istituto Italiano di Cultura, consentirà virtualmente di trasferirsi nella città rinascimentale di Ferrara all'epoca di Borso d'Este. E questo in compagnia di Luisa Carrà Borgatti, laureata in lettere antiche all’Università degli Studi di Bologna e già docente di italiano, latino e storia e preside in alcuni licei di Ferrara, dove dal 1983 è presidente del locale comitato della Dante Alighieri. Le iniziative da lei intraprese in Italia e all’estero sono state e sono innumerevoli.
"Borso era un raffinato uomo di corte e nei vent’anni del suo ducato garantì un periodo di pace e di prosperità rendendo la città un esempio per le piccole signorie limitrofe", ricorda Lucia Rota Andersen, che presiede la Dante fdi Copenaghen. Ludovico Ariosto nell’Orlando Furioso così scrisse: "di questo signor splendido ogni intento sarà che il popul suo viva contento". E Papa Pio II Piccolomini: "non si mostrò mai in pubblico senza essere adorno di gioielli". "È senz’altro un giudizio eccessivo se si pensa alle imprese politiche e culturali promosse dal duca", aggiunge la Rota Andersen.
"L’eta di Borso", prosegue, "fu una sorta di età dell’oro per la città. Le arti figurative fiorirono e ne abbiamo una chiara dimostrazione nel Palazzo dei Diamanti e in Palazzo Schifanoia, che sono stati cornici di una splendida mostra nel 2007. La decorazione del Salone dei Mesi a Palazzo Schifanoia presenta uno dei cicli decorativi più importanti del Rinascimento. Vi emergono le personalità di Francesco del Cossa e quella di Ercole de Roberti che hanno eleborato una suggestiva traduzione visiva della vita di corte, delle ambizioni politiche del duca, dell’interesse astrologico della società del tempo".
Al termine della conferenza, un concerto di musica rinascimentale de "Le donne di Ferrara" darà agli ospiti dell’Istituto l’illusione di essere alla corte estense e ascoltare ballate e madrigali di quei tempi. (aise)

IL SONDAGGIO DELLA SOCIETÀ DANTE ALIGHIERI "IRRITA" GLI INGLESI E IL SEGRETARIO GENERALE MASI RISPONDE

ROMA\ aise\ 12 settembre 2008 - Il Telegraph e la BBC, commentando gli esiti del sondaggio pubblicato dalla Società Dante Alighieri (www.ladante.it) sulle parole straniere meno amate dagli italiani, si lasciano andare a considerazioni ironiche sull’inutile tentativo di arginare il fenomeno dell’inserimento gratuito di termini stranieri nella lingua di Dante. Il segretario generale della Dante Alighieri, Alessandro Masi, ha replicato con una lettera aperta intitolata "Non strappateci la lingua. Gli inglesismi non piacciono agli italiani. E Londra si offende", pubblicata in data odierna sul quotidiano "Italia Oggi".
Per consultare gli articoli delle due testate britanniche è possibile visitare i siti Internet www.news.bbc.co.uk e www.telegraph.co.uk.
Quanto alla lettera aperta di Masi, disponibile sul sito Internet www.italiaoggi.it, ne riportiamo di seguito il testo integrale.
"Gli italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre, disse il grande statista inglese Winston Churchill a proposito del nostro particolare modo di affrontare le grandi o piccole sfide della vita.
Purtroppo i tempi cambiano e certe morali invecchiano ed è così che, con grande sorpresa, le autorevoli testate inglesi del Telegraph e della BBC smentiscono la proverbiale flemma, dimostrando di aver mal digerito gli esiti di un sondaggio messo in rete sil sito www.ladante.it. Il sondaggio, utile strumento di lavoro cui il portale della società Dante Alighieri si serve per tastare il polso e la vitalità della lingua e della cultura italiane all’estero, aveva come scopo quello di comprendere quali fossero le parole inglesi più inopportune entrate nell’uso comune della lingua di Dante. Del resto, cosa vi è di più democratico di un sondaggio che garantisca l’anonimato e che rispetti profondamente la volontà di chi vi partecipa?
I risultati che sono emersi e che i giornalisti di Sua Maestà hanno commentato con molta ironia sono rispettivamente nell’ordine: la parola "weekend" al primo posto con un indice di s-gradimento pari al’11% seguita da "ok" al 10%, "welfare" all’8%, "briefing" al 6%, "mission" al 4% e pari merito al 3% "location", "bookshop", "devolution" e a seguire "know-how", "privacy", "shopping", "cool", "question time" e infine, stranamente, l’intraducibile "shampoo".
Insomma con questo voto gli italiani non hanno demonizzato in toto l’uso acquisito di alcuni anglicismi ormai entrati quasi nella norma, quanto hanno dichiarato di non essere più disposti a sopportare conversazioni farcite da parole inutili e superflue. Del resto si tratta per lo più di termini di cui la lingua di Dante farebbe volentieri a meno e che vengono usati soprattutto da chi non conosce e non rispetta la lingua di Shakespeare, finendo spesso per storpiare l’essenziale suono delle parole inglesi. Non a caso il linguista Tullio De Mauro ha coniato il termine "globish" per indicare la nascita di un nuovo idioma che è una sorta di terribile incrocio genetico nato tra l’inglese e le lingue nazionali con le quali si accoppia.
Una mostruosità che va a totale deperimento della purezza e dell’armonia del suono originale e del fluido "english" della City o di chi alloggia al numero 10 di Downing Street a Londra. Ma questo è il prezzo che paga una lingua franca, ossia una lingua a cui tutti noi accreditiamo un valore universale e spendibile in ogni luogo, dall’aeroporto dove atterriamo per le vacanze alla banca estera dove operiamo finanziariamente.
In verita, più il Telegraph che la BBC ha ironizzato sui dati emersi dalla volontà popolare del sondaggio, facendo leva sui luoghi comuni della nostra identità e sulla inutile battaglia contro l’imperante lingua anglosassone.
Più interessante è leggere le riflessioni dei giornalisti della BBC, che tentano di indagare le ragioni per cui noi italiani chiediamo più rispetto della nostra lingua a noi stessi e una maggiore considerazione in campo internazionale, soprattutto in quella casa comune che è l’Unione Europea, divisa in tanti idiomi come una babelica torre.
Dietro questo argomento, che si va facendo sempre più caldo via via che il nocciolo delle lingue parlate a Bruxelles si restringe, vi è una mal posta questione che andrebbe scomposta analiticamente tra l’uso di una lingua di lavoro e la conoscenza articolata e plurilinguistica di diversi idiomi: nel primo caso non vi è bisogno che l’Europa deliberi, in quanto è già tutto scritto nei regolamenti e nei testi legislativi che vanno però rispettati; nel secondo si tratta dello studio e della conoscenza di una o più lingue straniere per la qual cosa non vi è sondaggio o altro che possa vederci contrari.
Gli italiani dimostrano pertanto di amare la loro lingua, che è una lingua di cultura e che sarà molto utile anche durante i fine settimana!". (aise)

venerdì 12 settembre 2008

La diplomazia culturale

di Alberto Bevilacqua

Corriere della Sera, 12 settembre 2008
Tutti concordi sull'opportunità di una legge di riforma degli Istituti italiani di cultura. Ma un avvertimento s'impone. La legge 401 voluta, nel 1990, da Gianni De Michelis appare inidonea ad affrontare le nuove sfide di fronte alle quali l'Italia si pone in campo internazionale. Acquista perciò significato sempre più rilevante il ruolo della nostra diplomazia culturale. La legge De Michelis provvide alla nomina politica di dieci personalità di chiara fama alla direzione di istituti culturali. La recente proposta di legge, a firma dell'onorevole Narducci, porta il numero dei «chiara fama» da dieci a venti. Ciò viene incontro alle esigenze politiche, si capisce. Ma genera una forte demotivazione negli operatori culturali: oltre a essere privati di altre dieci sedi, essi vedono svilito il loro ruolo, compromessa la loro professionalità. L'operato dei direttori di chiara fama non è stato sempre felice, considerato che la loro estrazione è quasi sempre di carattere specialistico. Non sarebbe dunque il caso di conferire ai «chiara fama» incarichi non direzionali, bensì di «esperti» con funzioni di appoggio? Direttori non si nasce, si diventa sul campo.