martedì 29 luglio 2008

Meno sedi, ma affidate a manager specializzati - Le ambasciate non dovrebbero interferire nella promozione

Istituti all’estero/1

GOVERNANCE ESCLUSIVA
I direttori di chiara fama non hanno spesso la preparazione per gestire un'azienda.
Le ambasciate non dovrebbero interferire nella promozione

di Riccardo Viale

Il Sole 24 ore, 29 luglio 2008
Il Paese è fermo a livello economico e ha poche risorse per investire nel futuro.
Molti condividono l'assunto che la cultura è uno degli asset fondamentali per il rilancio economico del nostro Paese. E il fattore di maggiore attrazione del turismo, ma soprattutto è ciò che determina il valore aggiunto immateriale del prodotto italiano. Sarebbe bene quindi ottimizzare questo vantaggio "monopolistico" che l'Italia ha nel mondo. Come fare?
Innanzitutto rafforzando la tutela e la valorizzazione dei beni culturali in Italia. Le risorse sono scarse, ma margini di miglioramento sono ancora possibili (a cominciare dalle misure sui dipendenti pubblici di Brunetta e da alcune azioni finalizzate di Bondi). Poi promuovendo collegamenti crescenti fra made in Italy e cultura, attraverso opportuni incentivi fiscali alle imprese che adottano pezzi del nostro patrimonio o della produzione culturale contemporanea. Inoltre orientando il sistema socioeconomico italiano, dalle infrastrutture al tema della sicurezza, per far diventare il nostro Paese attrattore competitivo di flussi turistici.I Infine, rafforzando i canali esteri di comunicazione e marketing del sistema culturale.
Da questo punto di vista la dimensione del nostro sistema culturale deborda di molto rispetto alle capacità delle istituzioni delegate. L'Enit è da anni in stato vegetativo. L’Ice non ha né le competenze né la missione istituzionale per questo scopo. Rimangono gli Istituti italiani di cultura. Come emerge dall'incontro recente tra i ministri Bondi e Frattini vi è la necessità di un rilancio della cultura italiana all'estero. Pur riconoscendo il valore di alcuni Istituti italiani di cultura è evidente la debolezza di molti di loro rispetto alla rinnovata missione che il nuovo governo vuoleassegnargli. A questo riguardo vanno fatte alcune riflessioni anche in considerazione alle critiche al mio articolo della giugno scorso.
Siamo in un momento di risorse scarse che presumibilmente non potranno essere aumentate. Alcuni istituti hanno più che raddoppiato il bilancio attraverso entrate esterne. In generale, però, soprattutto nel le sedi periferiche, la scarsa dotazione finanziaria non consente di raggiungere um livello efficace minimale di attività. Sembrerebbe quindi necessario concentrae gli sforzi su un numero minore di sedi rilevanti. La promozione dovrebbe essere mandato esclusivo dell'Istituto senza interferenze esterne. La governance dell'Istituto dovrebbe incardinarsi su un direttore con competenze di management della cultura. I direttori di chiara fama, accademici o intellettuali, non hanno spesso preparazione specifica per l'organizzazione e gestione di un'azienda di promozione culturale come dovrebbe diventare l'Istituto. In più, spesso, vi è la tendenza ad orientare, anche inconsapevolmente, le attività verso le aree culturali più vicine alla storia e formazione intellettuale del direttore. C'è bisogno quindi di personale che, senza posizioni idiosincratiche, faccia funzionare i canali di comunicazione e di marketing di ciò che viene ritenuto più rilevante per l'immagine culturale dell'Italia.
È quindi indispensabile che il governo rafforzi il tavolo di lavoro congiunto fra il ministero degli Affari esteri e quello per i Beni e le attività culturali, coinvolgendo almeno anche turismo e commercio internazionale. In quel, tavolo, dovrebbero essere decise le priorità e i principali prodotti culturali che verranno fatti circolare nella rete degli Istituti.
riccardo.viale@fondazionerosselli.it

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Istituti all’estero/2

C’è una «new Italy» tutta da scoprire
di Giovanni Castellaneta*

Come affermarsi sul mercato? Il marketing ci insegna che il successo di una qualsiasi azienda dipende soprattutto dalla sua capacità di identificare i bisogni della clientela, di progettare e produrre beni e servizi che soddisfino questi bisogni, di raggiungere i consumatori in modo rapido ed efficace.
Il dibattito aperto da Riccardo Viale sul Sole 24 ore sugli Istituti italiani di cultura può essere inquadrato anche in questa prospettiva. D'altra parte, in un Paese come gli Stati Uniti la cultura intesa come "bene" è un prodotto come gli altri e deve combattere su un mercato altamente competitivo. E prendendo in esame proprio questo mercato, proviamo a mettere qualche punto fermo usando gli strumenti del marketing.
L'identificazione dei bisogni del consumatore americano è forse la parte più semplice da affrontare. Negli Usa il brand "Italia" si vende da solo, è sinonimo di gusto, grazia, eleganza e saper vivere. Non c'è giorno che i grandi quotidiani nazionali non pubblichino articoli ed inchieste sull'ultimo agriturismo in Toscana, sulla luna di miele sul lago di Como dell’ennesiomo vip targato Hollywood, sulle ultime vendemmie del primitivo di Manduria. I grandi supermercati americani sono pieni di prodotti italiani, le riviste americane di moda, design e gastronomia devono avere un nome italiano per vendere. Tutto questo per dire cosa? Che negli Stati Uniti è probabilmente superfluo promuovere iniziative ed eventi con relativo dispendio di risorse finanziarie, sempre limitate che si vendono da sole. Lasciamole organizzare ai privati o comunque ad altri enti diversi dagli istituti di cultura.
Questo mi porta a toccare il secondo punto: la progettazione e la produzione di nuovi beni. Se ogni americano sa riconoscere il David di Michelangelo o sa localizzare su una mappa la Costiera Amalfitana, pochissimi sono al corrente del fatto che l'Italia è leader nel settore delle nanotecnologie o della robotica. Ecco perché uno dei filoni in cui stiamo concentrando i nostri sforzi è quello della scienza e della tecnologia. Tra le varie iniziative avviate ricordo il ciclo dei "Colloqui newyorkesi di cultura scientifica italiana" promosso dal Consolato generale a New York insieme alla Scuola superiore Sant'Anna di Pisa. Un'altra iniziativa: la creazione un anno fa della Fondazione, Issnaf (Italiar scholars and scientists North Americafoundation). Si tratta di una organizzazione non profit che mette in rete scienziati italiani che operano negli Stati Uniti e in Italia con l'obiettivo di promuovere la ricerca e lo svi-luppo in numerosi campi (biologia, matematica, fisica, medicina, ingegneria, ecc.). In sintesi: bisogna esplorare nuovi "settori di mercato" con immaginazione e creatività sapendo offrire "nuovi beni" come quelli scientifici. E vengo al terzo aspetto: la rapidità ed efficacia della produzione e distribuzione dei beni culturali, che attengono in questo caso al modo in cui un Istituto di cultura funziona ed è in grado di "stare sul mercato".
La sfida di oggi per gli Istituti di Cultura è di saper essere "glo-cal", globali e locali allo stesso tempo, secondo la formula "think globally and act locally". Essere globali significa capire che l'offerta culturale non è fatta soltanto di mostre e concerti ma anche di scienza, di cooperazione tecnologica, di design, di gastronomia e anche di sport. Significa saper lavorare con tutti gli attori presenti in maniera efficace e senza preconcetti (che sono sempre disfunzionali). Mentre l'"essere locali" sta tutta nel comprendere la specialità del territorio in cui si opera e nel sapersi adattare promuovendo l'incontro dell'offerta con la domanda. È quello che stiamo cercando di fare negli StatiUniti, dove in ciascuna città i nostri Istituti di cultura si stanno ritagliando un ruolo importante nei settori che "tirano di più".
*Ambasciatore a Washington

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