venerdì 27 giugno 2008

Meno istituti all’estero, più cultura

Proposte: il Direttore di New York chiede maggiori fondi. E una riforma basata sull’efficienza.

Renato Miracco: meglio tagliare le sedi inutili in Francia, Inghilterra e Spagna

dal nostro corrispondente Alessandra Farkas

Corriere della Sera, 27 giugno 2008
NEW YORK - È arrivato a New York lo scorso dicembre, la valigia piena di progetti e buone intenzioni, dopo una carriera di curatore di mostre d'arte italiana tra Otto e Novecento in luoghi quali la Tate Modem di Londra, il museo Reina Sofia di Madrid e la Camera dei Deputati a Roma. Sei mesi più tardi, il direttore di chiara fama dell'Istituto Italiano di Cultura di New York Renato Miracco è come un medico volenteroso ma frustrato davanti all'impossibile compito di curare in poche ore un malato cronico.
«Il mio mandato quadriennale è inadeguato», spiega il 55enne Miracco, «in una nazione dove la programmazione museale si fa con sei o più anni d'anticipo». Miracco si è ritrovato a fare i conti con i problemi cronici che affliggono gli istituti italiani di cultura all'estero: «Inadeguatezza di strutture obsolete, autoreferenzialità, nepotismo e mancanza di fondi».
Avrebbe voluto co-sponsorizzare mostre quali Art of the Royal Court: Treasures in Pietre Dure from the Palaces of Europe e Art and Love in Renaissance Italy, entrambe al Metropolitan Museum. Invece si è dovuto accontentare di allestire mini conferenze «a corredo». «II mio istituto riceve in tutto 500.000 euro l'anno: uno dei contributi più alti, ma briciole se paragonati agli 8 milioni di euro annui della Spagna e ai 1,5 milioni della Francia. Persino il centro culturale ceco ne ha 700.000 e il rumeno oltre 500.000 euro. Un raffronto imbarazzante se si pensa che il nostro patrimonio artistico rappresenta il 68% di quello mondiale».
Se non bastasse l'Italia ha drasticamente ridotto ìl numero dei suoi funzionari all'estero: dei 250 in servizio nel 1990, ne restano 200. «Oggi un italiano deve fare, male, ciò che due francesi o tedeschi hanno la possibilità di fare molto bene». Poi c'è il dramma degli «sprechi». «Germania e Francia chiudono in continuazione le sedi passive dei Goethe-Institut e delle Alliance Française, per finalizzare meglio le risorse e riaprire là dove la cultura ha bisogno di più sostegno».
L'Italia dovrebbe fare lo stesso? «Certo. Che senso ha un istituto italiano di cultura a Marsiglia o a Lille? Degli attuali 90 istituti ne salverei una quarantina. Li chiuderei soprattutto in Francia, Inghilterra e Spagna dove la gestione annuale costa più dello stanziamento ricevuto dallo Stato: 20-30 mila euro al mese per ogni istituto. Ne inaugurerei di nuovi in Cina, India e nei Paesi arabi».
Un altro dilemma riguarda le regioni. «In America ci presentiamo quasi sempre come città o regione, mai come Italia», incalza Miracco. «Questa lotta fratricida invece di rafforzare la nostra immagine la indebolisce. La Francia - precisa - non sognerebbe mai di presentarsi come Alsazia o Lorena». Míracco concorda con il ministro degli Esteri Franco Frattini circa la «necessità di una riforma». «Non con tempi biblici ma sporcandosi subito le mani», precisa, lanciando la proposta di «una commissione interdisciplinare tra i due ministeri, Beni Culturali ed Esteri: dieci membri con esperienza internazionale per cambiare tutto subito».
Una ricetta per migliorare le cose lui a dire il vero già ce l'avrebbe. «Per invogliare i privati ad aprire il portafoglio, propongo di dedicare spazi al nome dello sponsor». Un compito non certo facile. «Se chiedi aiuto ad Armani o Valentino, quelli preferiscono organizzarsi eventi da soli. Per l'atavica, istintiva ostilità verso lo Stato borbonico. Comunque è il pubblico che deve gestire il privato e non viceversa, altrimenti finiamo in balia del nouveau riche di turno».
Oltre alla totale autonomia degli istituti (con la possibilità di cambiare personale e assumerne di nuovo) Miracco punta alla creazione di un « board of advisors», scelti tra i curatori e direttori di musei americani, che possa aiutare l'istituto a inserirsi nel tessuto culturale americano. «Serve anche una fonazione per promuovere e sostenere finanziariamente la nuova eccellenza italiana, lontano dai vecchi modelli italo-americani».
L'istituto dovrebbe promuovere la cultura di pari passo con le istituzioni Usa. Come accadrà per la prossima mostra di Giorgio Morandi al Met, allestita in sinergia con le rassegne di disegni e acquerelli del grande artista presso l’Istituto e di sue incisioni alla Zerilli-Marimò. «Per tre mesi l'America parlerà solo dellTtalia», profetizza Miracco. Ma la sua riforma più ambiziosa riguarda il Premio New York, istituito dal ministero degli Esteri insieme all’Italian Academy. Il nuovo bando di concorso sarà emesso entro l'ottobre 2008 sul sito del ministero degli Esteri e dell'istituto e i vincitori decisi a partire dal gennaio 2009. «Vorrei creare una giuria prevalentemente americana che premi gli artisti più meritori, permettendo loro di stare a New York per 6 mesì».
Miracco ha già cominciato a scrivere un instant book: «la mappatura dei tantissimi artisti italiani re-sidenti a New York. Avere una loro traccia è doveroso e potrà costituire una base futura per galleristi, curatori e musei», dice. Al recupero della memoria e del passato ci penseranno invece i «quaderni di arte e letteratura», che raccolgono le interviste rilasciate in mezzo secolo di istituto da letterati, studiosi e artisti italiani quali Eco, Bassani, Calvino, Sifone e Pasolini.

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